pedagogia

 Nel Settecento, l'Europa visse un profondo rinnovamento delle pratiche educative e una revisione delle scuole, influenzata da una nuova visione delle capacità cognitive umane, basata sull'empirismo. Si abbandonò l’idea innatista, che vedeva l’uomo nato con conoscenze preesistenti, tra cui la nozione di Dio, da risvegliare tramite l’educazione religiosa. Studiosi come Locke, Hume, Condillac e Diderot sostennero che la conoscenza derivava dall’esperienza sensoriale, promuovendo un’educazione più pratica e sensoriale.


L’infanzia iniziò a essere vista come una fase fondamentale per l'apprendimento e lo sviluppo individuale, spingendo le famiglie aristocratiche a dare maggiore attenzione alla salute e alla cura dei bambini. Fu chiara, anche grazie alla medicina, la differenza tra bambini e adulti, evidenziando l’infanzia come un’età con esigenze specifiche.


Sul piano scolastico, questa nuova concezione spinse a riconsiderare i metodi e i contenuti dell’educazione. Si dibatté sui programmi, in cui continuava a prevalere il latino, mentre le materie scientifiche trovavano spazio con difficoltà, per evitare idee considerate non ortodosse. Anche se il latino era un requisito centrale, l’alfabetizzazione cominciò lentamente a fare spazio alla lingua volgare. Le discipline umanistiche (retorica e grammatica) dominavano ancora rispetto alle scienze, e la religione rimaneva alla base dell’educazione, ritenuta indispensabile per una formazione morale e "sicura".


Le innovazioni nel pensiero educativo del Settecento gettarono le basi delle moderne teorie pedagogiche, anche se ci vollero molti decenni affinché si diffondessero in ampi strati della popolazione.

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